Dialogo sopra me stesso – atti II e IIII

Atto II

 

Protagonisti: Autocoscienza, A.

 

(Tarda mattinata, in macchina)

 

A. alza al massimo il volume dell’autoradio

Autocoscienza: Non eri tu quello aperto al dialogo?

A. continua a seguire il ritmo martellante della musica.

Autocoscienza: Tempo fa escogitavi metodi più ingegnosi per non starmi a sentire.. sei peggiorato!

A.: (cerca una traccia in particolare, creando un momento di silenzio. Le ultime due parole dette da Autocoscienza risuonano più forti del dovuto) (ironicamente) Buongiorno, non ti ho vista entrare. (la musica ricomincia a riempire l’abitacolo)

Autocoscienza: (stizzita) Che modi! Ti comporti come un bambino! (strillando, sentendosi non considerata) Stupido!

A.: (sempre meno perso nella musica) Urla, insulti.. un comportamento che non si addice ad una signora, non credi?

Autocoscienza: (ironicamente) Le signore sanno come attirare l’attenzione, come puoi vedere.

A.: (sorridendo, guarda il paesaggio attraverso il finestrino, come se non lo avesse mai visto prima, quasi in cerca di un appiglio e spegne l’autoradio) Touché..

Passano alcuni secondi lisci, luminosi e totalmente privi di significato.

Autocoscienza: (godendo ora dell’attenzione che cercava) Allora, come stai?

A.: (lascia passare qualche secondo) (svogliatamente) E’ humor inglese?

Autocoscienza: (falsamente ironica)  La mia specialità è stroncare discorsi, non iniziarne. Aiutami, no?

A.: (annoiato dalla lentezza del discorso, ma attratto, inspiegabilmente, dall’idea di poterlo rendere ancora più tedioso) Oh, non sia mai! Se ti aiutassi ti toglierei tutto il divertimento!

Autocoscienza: (con l’aria di chi ragiona “sulle spalle dei giganti”) Non obbligarmi a ricordarti come è finita l’ultima volta..

A.: (rispondendo solo per educazione) Non ce n’è bisogno, grazie comunque.

Autocoscienza: (carezzando l’autostima di A.) Lo so…

A.: (Si esibisce in un sorriso forzato, confrontabile con quello di un bambino che a Natale riceve un regalo che non gradisce)

Autocoscienza: (estraendo dalla pochette un portasigarette dal disegno retrò) Ti dispiace se fumo?

A.: (rassegnato) No, fai pure.

Autocoscienza: (meschinamente) Ho letto le tue poesiole lacrimevoli. Pensare che per perder tempo con quelle cose sei rimasto indietro con gli esami, mi fa morir dal ridere.

A.: (cercando di nascondersi dietro ad un muro che lui stesso non vede) Ma quali cose?

Autocoscienza: (sarcasticamente, spengendosi la sigaretta sul dorso della mano) Hai ragione, scusa. Per perder tempo con Quella Cosa.

A.: (si accende una sigaretta, sconfitto, totalmente indifferente al gesto masochista di Autocoscienza) (sarcasticamente) Non ti si può nascondere niente eh!?

Autocoscienza: (scioccamente) Cerco di fare bene il mio lavoro.

A. osserva Autostima a lungo, una luce sinistra percorre le sue forme morbide.

A.: (visibilmente innervosito dallo smacco subito) Se non hai altro da dirmi… me ne andrei.

Autocoscienza: (poggiandosi sull’autostima di A., si avvia verso il suo ufficio) Non ho altro da dirti. (aprendo le uniche due finestre) Buona giornata.

A.: (sorpreso) Nevica, non vedi? Se apri le finestre, qui tornerà il ghiaccio!

Autocoscienza:(aprendo la portiera e uscendo dall’auto) Ha ragione chi dice che non sei sciocco. (Chiude la portiera così in fretta che, se l’ultima parola avesse avuto corpo, vi sarebbe rimasta incastrata)

 

 

Atto III               

 

Protagonisti: A., O.i P., Autocoscienza, Autostima, Signora D.

 

(Metà pomeriggio, in treno)

 

A.(parlando con un signore incontrato nello scompartimento. Dopo aver ascoltato a lungo le sue parole ferme, talmente esatte e sterili da sembrar preparate. Parole soffici, evocanti il calore amico di un vecchio plaid a quadri): La noia dilata il tempo, guardiamo tutto quando ci annoiamo, anche l’inguardabile, l’invisibile.

Ogni nota diventa canzone a sé, per poi tornare ad inscriversi, a perdersi nel tumultuoso marasma – quasi futuristico- dell’infinitamente armonico.

Vedo – o credo di vedere – il tutto nel quasi niente, ai miei occhi non serve altro, loro stessi non possono servire ad altro.

Ogni sensazione si fa deja-vu di veloci tempi andati.

Le parole, da sempre mie nemiche, sono il motore di paesaggi troppo lenti, insopportabili.

Nel regno delle forme, non cerco una forma regnante.

Ed è così che esco, per non rientrare.