IV – Primissima bozza

Conservava gelosamente l’abitudine disseminare di trappole d’inchiostro la strada lungo la quale cercava di mettere in fuga la veglia. “Dove finiscono le mie dita e dove comincia la carta?” Pensò osservano il bianco tra le parole del libro che si trovò costretto, come prima azione seguente il risveglio, (a rigurgitare) ad estrarsi – in maniera non del tutto indolore – dal cervello. “Cosa li separa” proseguì “se la mia pelle è fatta d’infinite brane e lo stesso la pagina?”. L’atto del toccare, del venire in contatto, nemmeno lontanamente ha la forza di sobbarcarsi il compito di colmare la distanza tra i due in-finiti. Ad un occhio più attento (cominciavano spesso così i paragrafi dei libri di scuola scritti in piccolo e che spesso non riusciva a capire) quella della separazione era una convinzione infondata, un’incrostazione concettuale dovuta alla fede nel linguaggio. “Carta” e “pelle” sono separati da uno spazio (occupato da una “e” in questo caso, per ragioni grammaticali) che si esprime in una pausa, in un breve silenzio. In realtà – un discorso davvero pretenzioso, degno di un pavone – le minuscole brane del dito, nel loro sovrapporsi continuo, potevano anche sovrapporsi (la cosa non lo avrebbe stupito più di un orologio che presa la forma del comodino non avesse cessato di ticchettare il solito tempo umano) alle brane della pagina. Da un certo momento in poi il dito sarebbe diventato di carta e la pagina di pelle. Una prospettiva molto spiritosa, che però nascondeva un’insidia: dove si sarebbe interrotto l’essere-carta delle brane e dove ne sarebbe cominciato l’essere-pelle?

[…]

Era un mercoledì mattina di agosto e stupita l’umanità poté assistere ad una pioggia di unghie di martiri e denti di vittime. Casualmente per chi non crede nel caso e necessariamente per chi non crede nel credere, questi scarti di ostinato attaccamento alla vita si disponevano a terra in piccoli mucchietti di indignata ghiaia sui quali nulla di organico sarebbe mai potuto crescere. (Non si mangia…) un’idea (“Perché”, si capisce) non è strettamente organica, nonostante (l’evidenza di corridoi accademici (Platone, giustappunto si parla di idee)) lo sia la sua condizione necessaria – ammesso che si pensi e non si possa essere pensati – e rimane astratta finché non diventa perturbazione del mezzo: suono, parola.

Nel caldo atroce di quella mattina ogni cosa rischiava di essere – in parte o del tutto – ogni altra.

“Visione!” di G. D’Annunzio – Abbozzo di lettura egoica.

Il sole ride; le nubi serene
Vagan pel cielo di cobalto al vento.
Ed io mi sento il freddo nelle vene,
Ed io nel curoe la morte mi sento!

Ma tu chi sei, gentile visione,
che mi tendi cosí le braccia stanche?
Che mi ripeti l’ultima canzone
Ai fior del campo, alle farfalle bianche?
Gentile visione!

Il sole ride;
Dalle acacie in fiore
Viene per l’aria una fragrante ondata
Ed io doman sarò nel cupo orrore dell’urna,
Sol, triste, assiderato!

Ma tu anche là,
Gentile visione,
Mi tenderai così le braccia stanche?
Oh! Sì, ripeti l’ultima canzone
Ai fior del campo, alle farfalle bianche!
Fedele visione!

Serissima, la domanda posta dal D’Annunzio perfettamente Vate dell’ultima strofa, mi cattura malamente. Dimissionario, decadente, immiserito appello di un uomo che interroga la propria creazione – la visione altro non è – per assicurarsi di poterne disporre anche post mortem. Di tanto in tanto distratto dalle meraviglie della natura, il moribondo si domanda se sarà capace di fantasia anche nel buio dell’urna.

Il soliloquio di D’Annunzio può avere come oggetto, non è possibile dirlo con certezza, una vera e propria visione così come la visione, la proiezione fantastica, di un’amata in carne ed ossa. In ognuno dei due casi il moribondo si augura che la sua creazione (ex nihilo o meno) rimanga in suo potere anche quando la ragion sufficiente di quest’ultimo sarà venuta meno, vuole accertarsi di continuare a vivere come pensiero e come canto.

Nell’egoismo tipico di colui che “sente” forte un sentimento, che può avere per motto “Io solo conosco la potenza di ciò che sto sentendo”, pretende di decidere quale ne sarà l’eco e chi dovrà vibrarla. […]

E’ davvero una bozza. E’ un pensiero che nacque quando lessi per la prima volta il brano al quale rimane ora in calce e sul quale prendo appunti da parecchio, mentali o cartacei, ma che non riesce a farsi “sferico”. Pubblico questo disordine nella speranza di raccogliere opinioni di altri che, come me, hanno a cuore la tematica dell’egoismo del sentimento.

Un suggerimento:

III

 

III

 

Lei. Il suo portamento. Camminare con portamento comportamento comporta qualcosa se io mento? Gambe corte come.. hai le gambe troppo lunghe per il motorino primo motore immobile la ragione non credere di aver sempre.. credi a quello che ti dicono i grandi le cose da grandi non sono per chi ha le gambe corte, ma io..

Cappello. Tanto di.. fatica per niente. Sette fatiche in camicia: le mele si staccano a fatica dall’albero per finire in camicia.

(Quel giorno lui decise di essere lei.)

Non c’era quasi mai lei e quando la nostalgia si faceva invivibile l’unico riparo era crearla, come una cosa qualsiasi. Come la migliore delle cose qualsiasi. Ma non si può essere due persone in un corpo, gli diceva il profumo della lavanda nel suo armadio e così lui era costretto a lasciarsi abitare da lei, lasciandole il posto. Così lei c’era quasi sempre in realtà, rispondeva ad ogni invito, era lui a non essere presente.

Era la sera del suo compleanno, non era un traguardo per lui e neanche un giorno particolarmente interessante, ma in ossequio a tutto ciò che lui non era, al mondo, volle renderlo un giorno indimenticabile. Dimenticare ricordi. Dimenticare di mendicare ricordi. Ricordi accordi che non si suonano, potrebbe suonare lei alla porta un giorno e.. la porta di un giorno come tanti, le finestre che nascondono l’alba per obbligarti a dormire quasi che a quell’ora fosse illecito stare in piedi. Illecito. Il lecito confina con l’il.. articolodileggeillecita.

Decise di invitarla a cena, dato che l’ora di cena era passata già da molto tempo ormai e con lei l’appetito. Si adoperò (come si adopera un oggetto) al fine di farle trovare un ambiente il più possibile accogliente e degno di una presenza.

Rimpiazzò le vecchie finestre disegnandone delle altre, dalla quali altro non si potesse vedere che il perfetto nulla. Qualsiasi panorama avrebbe reso improbabile quell’incontro, volle che dalle finestre non entrasse luce. Accese candele e le nascose dietro le mura, fece sì che le sue migliori rose baciassero l’entrata in scena della sua migliore creazione. Tutto questo le sarebbe piaciuto, ma di certo lei non l’avrebbe dato a vedere. Non importa ciò che fai, importa cosa importare cose importanti Lo zioricco che costruisce case si è costruito una vita di case La casa di vita qui nasci e qui..

Al cibo avrebbe forse pensato lei, gli avrebbe portato una torta non ti dovevi disturbare o dei pasticcini non ce n’era bisogno. Lui volle coprire il tavolo trasparente con una spessa tovaglia avana, non avrebbe permesso a lei di intuire che a reggere i loro piedi era un pavimento e non l’essere o qualche altro fondamento più consono. Ai quattro angoli della tovaglia appuntò dei piccoli nontiscordardime, ma la cosa non ebbe l’effetto sperato e presto se ne dimenticò.

Lei non sarebbe venuta, lo sapeva bene, ma i preparativi lo rendevano felice. Era l’atmosfera delle feste in famiglia (ne ebbe una, un tempo), delle cene tra parenti invitati solo per la consuetudine che prende il nome di tradizione. Le donne relegate ai fornelli sin dalla prima mattina, svegliarsi con il profumo di cucina e far colazione in sua compagnia, ma senza occupare il tavolo già occupato dagli innumerevoli utensili, spesso usati solo in quelle occasioni. Gli uomini che girano nel giardino della casa a parlare di traguardi da porsi nell’anno, poco importa se poi… traguardi guardi tra gli sguardi che si guardano, raggiungere un traguardo significa aggiungere un traguardo. Quando sarai grande e avrai smesso di vivere anche tu potrai aggiungere traguardi.

Doveva distrarsi prima dell’arrivo di lei, così lasciò che la fiamma di una candela lambisse una rosa. La rosa, offesa, prese ad ardere e i contorni lisci dei petali ormai bruciati si contorcevano in un’espressione da maschera di teatro antico finchè anche il fuoco se ne andò, inorridito, anche lui, dallo scheletro di quella meraviglia. Sostanza senza forma. L’ultima timida espressione lucente di quella morte illuminò la stanza. Nell’angolo. Lei era lì. E non c’erano occhi a guardarla.

III (prova)

III

 

Lei. Il suo portamento. Camminare con portamento comportamento comporta qualcosa se io mento? Gambe corte come.. hai le gambe troppo lunghe per il motorino primo motore immobile la ragione non credere di aver sempre.. credi a quello che ti dicono i grandi le cose da grandi non sono per chi ha le gambe corte, ma io..

Cappello. Tanto di.. fatica per niente. Sette fatiche in camicia: le mele si staccano a fatica dall’albero per finire in camicia.

(Quel giorno lui decise di essere lei.)

Non c’era quasi mai lei e quando la nostalgia si faceva invivibile l’unico riparo era crearla, come una cosa qualsiasi. Come la migliore delle cose qualsiasi. Ma non si può essere due persone in un corpo, gli diceva il profumo della lavanda nel suo armadio e così lui era costretto a lasciarsi abitare da lei, lasciandole il posto. Così lei c’era quasi sempre in realtà, rispondeva ad ogni invito, era lui a non essere presente.

Era la sera del suo compleanno, non era un traguardo per lui e neanche un giorno particolarmente interessante, ma in ossequio a tutto ciò che lui non era, al mondo, volle renderlo un giorno indimenticabile. Dimenticare ricordi. Dimenticare di mendicare ricordi. Ricordi accordi che non si suonano, potrebbe suonare lei alla porta un giorno e.. la porta di un giorno come tanti, le finestre che nascondono l’alba per obbligarti a dormire quasi che a quell’ora fosse illecito stare in piedi. Illecito. Il lecito confina con l’il.. articolodileggeillecita.

Decise di invitarla a cena, dato che l’ora di cena era passata già da molto tempo ormai e con lei l’appetito. Si adoperò (come si adopera un oggetto) al fine di farle trovare un ambiente il più possibile accogliente e degno di una presenza.

Rimpiazzò le vecchie finestre disegnandone delle altre, dalla quali altro non si potesse vedere che il perfetto nulla. Qualsiasi panorama avrebbe reso improbabile quell’incontro, volle che dalle finestre non entrasse luce. Accese candele e le nascose dietro le mura, fece sì che le sue migliori rose baciassero l’entrata in scena della sua migliore creazione. Tutto questo le sarebbe piaciuto, ma di certo lei non l’avrebbe dato a vedere. Non importa ciò che fai, importa cosa importare cose importanti Lo zioricco che costruisce case si è costruito una vita di case La casa di vita qui nasci e qui..

Dialogo sopra me stesso – atti II e IIII

Atto II

 

Protagonisti: Autocoscienza, A.

 

(Tarda mattinata, in macchina)

 

A. alza al massimo il volume dell’autoradio

Autocoscienza: Non eri tu quello aperto al dialogo?

A. continua a seguire il ritmo martellante della musica.

Autocoscienza: Tempo fa escogitavi metodi più ingegnosi per non starmi a sentire.. sei peggiorato!

A.: (cerca una traccia in particolare, creando un momento di silenzio. Le ultime due parole dette da Autocoscienza risuonano più forti del dovuto) (ironicamente) Buongiorno, non ti ho vista entrare. (la musica ricomincia a riempire l’abitacolo)

Autocoscienza: (stizzita) Che modi! Ti comporti come un bambino! (strillando, sentendosi non considerata) Stupido!

A.: (sempre meno perso nella musica) Urla, insulti.. un comportamento che non si addice ad una signora, non credi?

Autocoscienza: (ironicamente) Le signore sanno come attirare l’attenzione, come puoi vedere.

A.: (sorridendo, guarda il paesaggio attraverso il finestrino, come se non lo avesse mai visto prima, quasi in cerca di un appiglio e spegne l’autoradio) Touché..

Passano alcuni secondi lisci, luminosi e totalmente privi di significato.

Autocoscienza: (godendo ora dell’attenzione che cercava) Allora, come stai?

A.: (lascia passare qualche secondo) (svogliatamente) E’ humor inglese?

Autocoscienza: (falsamente ironica)  La mia specialità è stroncare discorsi, non iniziarne. Aiutami, no?

A.: (annoiato dalla lentezza del discorso, ma attratto, inspiegabilmente, dall’idea di poterlo rendere ancora più tedioso) Oh, non sia mai! Se ti aiutassi ti toglierei tutto il divertimento!

Autocoscienza: (con l’aria di chi ragiona “sulle spalle dei giganti”) Non obbligarmi a ricordarti come è finita l’ultima volta..

A.: (rispondendo solo per educazione) Non ce n’è bisogno, grazie comunque.

Autocoscienza: (carezzando l’autostima di A.) Lo so…

A.: (Si esibisce in un sorriso forzato, confrontabile con quello di un bambino che a Natale riceve un regalo che non gradisce)

Autocoscienza: (estraendo dalla pochette un portasigarette dal disegno retrò) Ti dispiace se fumo?

A.: (rassegnato) No, fai pure.

Autocoscienza: (meschinamente) Ho letto le tue poesiole lacrimevoli. Pensare che per perder tempo con quelle cose sei rimasto indietro con gli esami, mi fa morir dal ridere.

A.: (cercando di nascondersi dietro ad un muro che lui stesso non vede) Ma quali cose?

Autocoscienza: (sarcasticamente, spengendosi la sigaretta sul dorso della mano) Hai ragione, scusa. Per perder tempo con Quella Cosa.

A.: (si accende una sigaretta, sconfitto, totalmente indifferente al gesto masochista di Autocoscienza) (sarcasticamente) Non ti si può nascondere niente eh!?

Autocoscienza: (scioccamente) Cerco di fare bene il mio lavoro.

A. osserva Autostima a lungo, una luce sinistra percorre le sue forme morbide.

A.: (visibilmente innervosito dallo smacco subito) Se non hai altro da dirmi… me ne andrei.

Autocoscienza: (poggiandosi sull’autostima di A., si avvia verso il suo ufficio) Non ho altro da dirti. (aprendo le uniche due finestre) Buona giornata.

A.: (sorpreso) Nevica, non vedi? Se apri le finestre, qui tornerà il ghiaccio!

Autocoscienza:(aprendo la portiera e uscendo dall’auto) Ha ragione chi dice che non sei sciocco. (Chiude la portiera così in fretta che, se l’ultima parola avesse avuto corpo, vi sarebbe rimasta incastrata)

 

 

Atto III               

 

Protagonisti: A., O.i P., Autocoscienza, Autostima, Signora D.

 

(Metà pomeriggio, in treno)

 

A.(parlando con un signore incontrato nello scompartimento. Dopo aver ascoltato a lungo le sue parole ferme, talmente esatte e sterili da sembrar preparate. Parole soffici, evocanti il calore amico di un vecchio plaid a quadri): La noia dilata il tempo, guardiamo tutto quando ci annoiamo, anche l’inguardabile, l’invisibile.

Ogni nota diventa canzone a sé, per poi tornare ad inscriversi, a perdersi nel tumultuoso marasma – quasi futuristico- dell’infinitamente armonico.

Vedo – o credo di vedere – il tutto nel quasi niente, ai miei occhi non serve altro, loro stessi non possono servire ad altro.

Ogni sensazione si fa deja-vu di veloci tempi andati.

Le parole, da sempre mie nemiche, sono il motore di paesaggi troppo lenti, insopportabili.

Nel regno delle forme, non cerco una forma regnante.

Ed è così che esco, per non rientrare.

Dialogo sopra me stesso – Atto 1

Protagonisti: A., Odio in Persona, D.

(notte fonda, in mansarda)

Odio in persona: Ciao A., come ti va?
A.:Mah.. abbastanza bene, sto iniziando a dimenticare parecchie cose..
O. i. P.: (retorico) Di che cose parli A.?
A.: (facendosi trascinare, forse volutamente, dalla voglia di self-destruction) Lo sai benissimo.. le cose per le quali vivevo e sarei potuto morire fino a poco tempo fa…
O. i. P.: (ironico) Non ci pensare… (sedendosi sul cuore di A.) Ti dispiace se mi siedo?
A.: (accende una sigaretta) Fai pure, fumi? (porge una sigaretta a O. i. P.)
O. i. P.: (prende la sigaretta e la accende aspirando anche il primo tiro, quello che sa del gas dell’accendino) Si, grazie..
O. i. P.: (estrae l’orologio dal taschino e gli dà un’occhiata veloce) Diamine, si è fatto tardi.. Domani hai lezione, non dovresti riposare?
A.: (sarcastico) Preferisco stare in tua compagnia..
O. i. P.: (stupidamente) Lo sapevo, ci conosciamo da anni, riesco a prevedere le tue reazioni…
A.: (serio) Era da un po’ che non ti facevi vivo.. sono tornati i vecchi tempi senza che io me ne sia potuto capacitare?
O. i. P.: (spegnendo la sigaretta sull’autostima di A. e iniziando così a sciogliere il sottile velo di ghiaccio che la ricopre) Credi che se ne siano mai andati, sciocco?
A.: (spegnendo la sigaretta allo stesso modo, rendendo visibili i contorni satinati della propria autostima) Ne ero convinto, ma se lo dici tu.. Hai sempre avuto ragione alla fine..
O. i. P.: (aggiustandosi il papillon) Ma tu sei cretino e vuoi sempre far di testa tua… Mi vedo costretto a chiamare chi sai tu, lei saprà come rimetterti in riga in poco tempo…
A.: (con un’espressione a metà strada tra quella di “uno che se lo immaginava” e “uno che lo temeva”) Diamine, siamo alle solite.. da solo non riesci a piegarmi, eh!? devi chiamare ogni volta D.!
O. i. P.: (sorridendo) Si! Siamo alle solite, stupidino..
A. Prima di chiamarla, ci fumiamo un’altra sigaretta insieme? (prendendo una sigaretta dal pacchetto e porgendolo a O. i. P.)
O. i. P.: (prendendo la sigaretta e accendendola come prima) Certo.. (inizia a prepararsi per la notte)
A. Devo dedurne che sarai mio ospite per un po’?
O. i. P.: (già in camicia da notte) (sorridendo compiaciuto) L’ho sempre detto che sei un ragazzo sveglio…
A. Sono io che inizio a dubitarne…
O. i. P: (spegnendo la sigaretta come sopra, rendendo visibile quasi per intero l’autostima di A.) Ti sbagli, mio caro..
A.: (imitando O. i. P., l’autostima è ormai esente dal ghiaccio) Sei gentile..
O. i. P.: (sorridendo) Spiritoso.. (alzandosi dal suo trono) Ora ti saluto.. Arrivederci! (entrando nella sua stanza)
A. Arrivederci.
A. aspetta l’arrivo della Signora D. fumando una sigaretta e poi un’altra.
D.: (arrivando chissà da dove) Ciao, scusami se ti ho fatto aspettare..
A. Figurati..
D.: (si siede dove prima c’era ghiaccio, dopo aver tolto i mozziconi e la cenere ed aver asciugato con un tovagliolo il suo trono) Il solito maleducato! Imparerai mai come ci si comporta con le signore?
A.: (sorridendo) Pardon..
D.: Mi fai impazzire quando parli in francese.. (prendendo una sigaretta, di quelle sottili, dalla sua borsetta) Hai da accendere?
A. (Porgendo l’accendino a D.) Certo.. per te ho sempre tutto, Signora Depressione…