Collezionismo, piacere puro della simmetrizzazione di visioni sviste, non guardate. Non intenzionate se non dall’occhio che si lascia sorprendere così tanto dall’assenza di concettualità alle spalle da costringere il regista a prostrarsi e a richiamare, capitolo per capitolo, la realtà storica. Fa tenerezza notare come in questa ricerca di senso ci si rifaccia, tra gli altri, a Sade e Lautréamont, colpevoli per eccellenza dell’erotizzazione e dell’estetizzazione del corpo umano più fini e più fini a se stesse.
La distanza prodotta dall’artificialità della dissezione chirurgica si produce in una riestetizzazione del corpo devitalizzato, espunto del principio vitale e come tale non più principiato, ma principio a sè e di sè. In particolare: produzione di un’estetica a mezzo della de-canonizzazione della visibilità, della disorganizzazione delle linee e della loro liberazione nel piano dei richiami: vasi sanguigni-radici, risimmetrizzazione degli occhi, sovrapposizione dei doppi e raddoppiamento delle singolarità.
La cera fiorentina, che mi rifiuto di credere esclusivamente plasmata da intento medico, sottolineata dalle assordanti cornici geometriche nel regime di occlusione liberatoria nelle quali è impossibile non notare Bacon, si fa carico dell’assenza dell’attrattore concettuale, dell’Umano centrificarsi in quanto viventi diversi dai viventi. Forma umana liberata.