David Lynch & Lykke Li – I’m Waiting Here

Considerazioni sparse sull’oblio inteso come ateismo.

Uno spostamento infinitesimo in più o in meno di intensità e frequenza e sarebbe stata una voce qualsiasi, invece quella voce diventa non-altra. Diventa la voce che vado cercando, trascinando il mio enorme amore. Quando mi fermo a prendere fiato, volendo rimanere per un attimo nella metafora. La designazione è assolutamente momentanea o per meglio dire circostanziale: ogni voce è non-altra se guardata fissa. Diventa idolo nell’effimera (contingentissima) sua unicità, rimando a ciò che mi va sfuggendo – avrei detto che vado cercando, dalla mia prospettiva e invece dico che mi va sfuggendo… dalla prospettiva di chi? Come se si potesse uscire dalla propria prospettiva.

[Come se ogni cosa non fosse non-altra esattamente come ogni altra nell’individuazione dell’osservare – che è irrimediabilmente – soggettivo.]

“Mi va sfuggendo” e non “mi è sfuggita” perché quest’io prova a costruire una zona d’indeterminazione dalla quale far germogliare il caso, che invece per sua definizione non ne vuol sapere di farsi fare (rapidamente sulla complessità di quest’ultima locuzione: il caso non si fa – rende – fare – intenzionalità – e non si fa – lascia – fare – produrre).
Non c’è bisogno che specifichi – è scritto un po’ ovunque, con o senza maiuscole – a quale specificazione del “caso” ci si riferisce.

Si osserva la strutturazione di un guardare simile a quello religioso, in questo sentimentaccio, ma che contrariamente a quello canonico (inventato da altre soggettività con pretese ben più trascendentali e sussumenti della mia, che di pretese proprio non ne ha) permette un ateismo non fideistico, anche se – e proprio perché – intimo e albergante nel ricordo.