Pomposamente senza lasciar traccia – Flusso di (in)coscienza.

Delicatamente, pomposamente, roboantemente mi passi attraverso, mi percorri, come se fossi materia, io, e tu puro spirito. Non c’è anfratto delle rovine della mia coscienza che io, morbosamente, non abbia percorso nella speranza di non trovarti… accovacciata in un angolo in attesa di me o ombra sfuggente che ha la sua ragion d’essere nel solo scomparire, una finestra dilatata fino all’informità dal peso del tempo. Assenza e presenza, tu, mi pervadi senza rispetto alcuno. Mi hai lasciato damascare la normalità in cerca di immensità, il tuo plauso sempre più distante non ha fatto che spingermi più in alto. Non so, davvero, se pur sapendoti a valle, spero di trovarti in cima ad attendermi. Di certo, mi dico, “non scenderò a cercarla”. Ma – continuo colpevolmente a dimenticarlo – tu sei nella fibra di tutto questo, non più alterità selezionabile, ma medesimezza imprescindibile. Non si esce dal di-volta-in-volta-sè, perchè ogni dopo è un nuovo prima e tu sei (in) ogni passo. Impasse.

E il poveretto – o l’impoverito – si ritrova a scriverti via da sè:

“S’io fossi balbuziente come Dante o Petrarca…
Accendere l’anima per una sola, ordinarle coi versi…
Struggersi in cenere.
E le parole e il mio amore sarebbero un arco di trionfo:
pomposamente senza lasciar traccia vi passerebbero sotto
le amanti di tutti i secoli.”

Ma scrivo su di te, lo dimentico ancora, non esiste carta bianca.