495 parole a partire da Interstellar

I paradossi sono cosa estremamente seria e credo che la loro ragion d’essere sia squisitamente umana. Forse anche troppo umana.

Interstellar, visto e poi guardato, basa la propria coerenza interna sul paradosso cosiddetto “dei viaggi nel tempo”. La quinta dimensione altro non è che il luogo nel quale le altre quattro si piegano su se stesse, ma pur concedendo, per la “teoria a molti mondi” l’esistenza di molteplici linee temporali, in nessun modo si vede come debbano esistere ponti tra alcune di esse. Due linee temporali sono diverse finché hanno in comune, detto n il numero totale degli “stati di cose” di una delle due, una successione di massimo n-1 “stati di cose” (non trovo un modo migliore per definite i “momenti”, i presenti complessivi). E’ lecito parlare di linee temporali simili, ma non di salti dall’una all’altra. O meglio: può esistere una linea temporale che abbia in comune un diverso “stato di cose” con ognuna delle altre, così da sembrare ad esse trasversale, ma lo stesso non si riesce a parlare di salto tra linee. Un cronoviaggiatore che si recasse a modificare un qualche aspetto del passato, nella più “libera” delle ipotesi altro non farebbe che produrre (per meglio dire: intraprendere) una nuova linea temporale, mentre volendo rifarsi al determinismo, al principio di causa ed effetto e considerandolo così abitante di un universo unico, si limiterebbe a consentire l’esistenza (già prevista e in atto) di un futuro nel quale il suo viaggio è già storia, senza in questo apportare alcun cambiamento alla linea temporale.

Ogni linea temporale è quindi autocoerente (ogni “stato di cose” è ragion sufficiente del successivo) ed è costituita dal susseguirsi di cause ed effetti nell’apertura prodotta dalla possibilità: si capisce che, supponendo di parlare da una dimensione ulteriore rispetto alle quattro “usuali”, tutto ciò che di volta in volta accade risulta già accaduto, visibilmente. E’ ciò che il passato può dire di sé immaginandosi osservato dal futuro: il futuro anteriore. Il “sarà (già) stato”.

Supponendo che la quinta dimensione esista da sempre e che semplicemente venga “scoperta” ad un certo punto della Storia (è sufficiente considerare una qualsiasi storia) e che stia alla quarta, ovvero al tempo, come la terza delle spaziali sta alle prime due, non sembra possibile concludere niente di diverso dalla tautologicità di Interstellar.
Guardando più attentamente non è però tautologico più di qualsiasi altra realtà, se ci si immagina capaci di altre dimensioni. Si può concludere che, a meno di (insensatissime) infinite dimensioni e di Qualcuno capace di trascenderle tutte, non può esistere qualcosa di assolutamente nuovo. Qualunque cosa è già-stata per qualcuno, in un triste gioco di scatole cinesi. Il libero arbitrio di chi è confinato in una realtà n-dimensionale appare illusione ad un essere (n+1)-dimensionale, che si crede libero, ma in realtà gode di qualcosa che un (n+2)-dimensionale sa essere tutt’altro che libertà.
Interstellar è inevitabilmente e ovviamente tautologico per lo stesso motivo per cui io non avrei potuto non scrivere queste poche righe.