Anatomia di un’ossessione, I – “Silvia”

Pretendi, mi esigi senza chiedere. Senza domandare (soprattutto!).

(Ma è di me che si sta parlando, naturalmente. Sempre dal e del “…” si (?) parla. Del “…” che si parla addosso, che si sbrodola, eterno neonato incapace di gestire i propri rigurgiti.)

Ho dovuto fare di te una parola, per renderti disponibile ed accantonabile. Ti sei impadronita anche di questo mio tentativo con così poco ritegno che ho pensato che la tua esistenza di “gentile visione” potesse non dipendere interamente dal mio lavorìo. Ho pensato che esistessi davvero, qui. Ho creduto di averTi creata. Impossibile definire quel “Ti”, impossibile definire i pronomi di questo monologo.

Ti ho dato un nome – il tuo a dire il vero – e ho cercato di disoccuparmi di me (di te) e di te (di me), non senza sperare che decantassi il veleno che ti rese mia e di essere in grado di raccoglierlo e riutilizzarlo. Naturalmente, divina – mio malgrado – creatura, ti sei avvolta intorno a quel nome. E’ così che nascono gli inesistenti, gli dèi. E sapevi (l’ho capito grazie alla teologia) che è solo nella quiete che vive l’inverecondo*, quindi non ti sei mai allontanata dal piano della designazione sonora. Ho perso così amici come Bach, Chopin e Liszt.

Come vedi, parola, non uso più la “poesia”. Ti parlo per smettere di pronunciarti.
E siccome ero curioso di vedere una parola alle prese con un’immagine, ti ho immaginata. Sei così, ora:

Anatomia III

 

[…]

 

 

*Il vaglio della “realtà” terrorizza voi Idee.